‘Ā’isha Al-Bā‘ūniyya compone un breve trattato sul cammino mistico che porta all’annullamento morale e ontologico dell’Io

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 10:00:53

Questo articolo è l'introduzione a Nell’incendio dell’amore divino

 

Dici donna nell’Islam e il pensiero, escluse per la loro eccezionalità Maria madre di Gesù e le mogli e figlie di Muhammad, corre alla letteratura mistica. È nell’ambito sufi infatti che sono fiorite alcune figure femminili di grande rilievo, a cominciare dall’asceta Rābi‘a al-‘Adawiyya (713-801), i cui folgoranti detti continuano a godere di grande fortuna[1]. Ma se Rābi‘a fa storia a sé per la scelta del celibato, rarissimo nell’Islam, ‘Ā’isha al-Bā‘ūniyya, la mistica e poetessa da cui abbiamo tratto il classico di questo numero, è una figura più “normale”. E dunque più rappresentativa di una traiettoria possibile nella società islamica classica, almeno nei suoi ceti più elevati[2].

 

Nata a Damasco nella seconda metà del XV secolo, apparteneva a una famiglia eminente. Il padre, giudice capo della metropoli siriana sotto gli ultimi mamelucchi, le assicurò un’accurata istruzione: all’età di otto anni ‘Ā’isha aveva già memorizzato l’intero Corano. Recatasi in pellegrinaggio alla Mecca con la famiglia, la giovane ebbe una visione del Profeta dell’Islam. Questa esperienza la indirizzò verso il sufismo, all’interno di un ramo della confraternita Qādiriyya a cui la famiglia era molto legata.

 

In una data non precisata ‘Ā’isha sposò Ibn Naqīb al-Ashraf, membro di un’altra famiglia damascena di primo piano, e i due ebbero almeno una figlia e un figlio. Rimasta vedova, nel 1513 ‘Ā’isha si recò al Cairo, capitale del sultanato mamelucco, per cercare un lavoro al figlio nell’amministrazione statale. Nel viaggio, tuttavia, fu derubata dai predoni, che la lasciarono in totale miseria. In questo difficile frangente fu soccorsa da un amico di famiglia, Ibn Ajā, che, grazie alla sua qualifica di ministro e confidente del sultano al-Ghawrī, riuscì a far assumere il figlio di ‘Ā’isha nella cancelleria. Dopo tre anni trascorsi al Cairo, madre e figlio ripresero il cammino della Siria, accompagnando il loro patrono ad Aleppo, dove il sultano stava preparandosi per la guerra contro gli ottomani. Al-Ghawrī concesse un’udienza personale alla donna, forse inquieto al pensiero dell’imminente scontro militare, in cui avrebbe perso la vita; terminato il colloquio, ‘Ā’isha tornò a Damasco, dove morì poco dopo, nel 1517.

Pur nella loro sinteticità, questi tratti biografici permettono di comprendere alcuni aspetti del testo che traduciamo, un breve trattato sul cammino mistico composto su richiesta di un “confratello” sufi. Spiegano ad esempio la menzione dei figli e della famiglia, che toglie convenzionalità alle righe conclusive. O danno profondità alle lodi iniziali al Profeta – ‘Ā’isha era specializzata in questo genere letterario – che vanno lettecontinua a leggere

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Per citare questo articolo

 

Riferimento al formato cartaceo:

Martino Diez, L’itinerario mistico di un’amica di Dio, «Oasis», anno XV, n. 30, dicembre 2019, pp. 102-104.

Riferimento al formato digitale:

Martino Diez, L’itinerario mistico di un’amica di Dio, «Oasis» [online], pubblicato il 10 dicembre 2019, URL: https://www.oasiscenter.eu/it/itinerario-mistico-sufi-accesso-dio.

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