Intervento del Cardinal Cristóbal López Romero alla conferenza internazionale “Cambiare rotta. I migranti e l’Europa”

Ultimo aggiornamento: 07/02/2024 11:23:29

La nostra Chiesa del Marocco è una Chiesa che io definisco insignificante, ma che allo stesso tempo è significativa. È insignificante perché è piccola, minuscola. Ma è significativa perché abbiamo un messaggio da trasmettere alla Chiesa e anche al mondo intero. Siamo 30.000 cristiani cattolici fra 37 milioni di musulmani. Questi 30.000 cattolici sono tutti migranti, a partire da me, perché siamo tutti stranieri. Non ci sono cattolici marocchini e, se ci sono, non sono più di dieci; si tratta quindi di casi molto particolari. Il gruppo più numeroso che riempie la nostra Chiesa è quello degli studenti universitari subsahariani che vengono in Marocco per qualche anno perché hanno ottenuto una borsa di studio dal governo marocchino.

Ci sono anche tantissimi migranti irregolari che non hanno il permesso di soggiorno, ma che restano in Marocco per brevi periodi o che si stabiliscono per molto tempo. La nostra è una Chiesa di migranti. In passato era una Chiesa di europei, ma oggi ne sono rimasti pochi. L’arrivo degli studenti universitari subsahariani ha riempito la nostra Chiesa dandole un nuovo vigore, un entusiasmo, una gioia molto grande nella celebrazione della fede.

 

Quelli che vengono dall’Europa e partecipano all’Eucarestia nella cattedrale o in qualsiasi parrocchia restano stupefatti dalla vitalità della nostra Chiesa. Dobbiamo ringraziare il fenomeno migratorio che dà la possibilità alla nostra Chiesa di disporre di un catecumenato, della catechesi per i bambini e di tanti gruppi, movimenti, comunità ecclesiali di base, eccetera. Siamo molto contenti di questo fenomeno positivo della migrazione. Tuttavia, il fenomeno migratorio presenta anche delle problematiche. Per cominciare, bisogna dire che i migranti non esistono. Ci sono persone che migrano e che sono i nostri fratelli e sorelle. In realtà nessuno è migrante: ci sono persone che si trovano in stato di mobilità, in condizione di migrante. A tal proposito, una volta il Papa mi disse che è vero che viviamo in una società dell’aggettivo e non del sostantivo: “migrante” è un aggettivo qualificativo, ma “persona” e “cristiano” sono sostantivi, contengono la sostanza. Quindi le persone che migrano conservano tutti i loro diritti, i diritti umani. La migrazione stessa è un diritto presente nella dichiarazione universale dei diritti umani. Per questo è molto valido il motto “liberi di migrare, liberi di restare” adottato dalla Conferenza Episcopale Italiana, che lavora da molto tempo su questo tema. La giornata internazionale dei migranti e dei rifugiati conteneva lo stesso messaggio: c’è il diritto alla migrazione e, soprattutto, c’è il diritto di poter restare nel Paese d’origine.

 

In questo fenomeno migratorio il Marocco è un Paese d’uscita perché tanti marocchini migrano verso l’Europa. Ma è anche un Paese di passaggio, perché molti restano qui una settimana, un mese, sei mesi, un anno, tre anni, cinque anni, aspettando l’opportunità di fare il passaggio, di fare il salto. Infine, il Marocco è un Paese di destinazione o di arrivo, perché cresce il numero delle persone migranti che restano, che si stabiliscono qui in Marocco. Non sappiamo quanti sono i marocchini che migrano verso l’Europa. Di certo sono molti, lo vedete ogni giorno, ma è impossibile disporre di statistiche attendibili. Non sappiamo quanti subsahariani si trovano in Marocco in attesa di poter migrare in Europa, né quanti restano qui, ma sono molti. Prima del 2018, il governo marocchino aveva fatto due regolarizzazioni: la prima di 50.000, la seconda di 30.000 individui. A onor del vero, occorre sottolineare che il governo marocchino ha concesso a tutti i migranti, inclusi quelli irregolari, di poter utilizzare il sistema sanitario ed educativo gratuitamente.

 

Tutti i ragazzi migranti possono andare a scuola. Se non ci vanno è perché la famiglia o loro stessi non vogliono. Il sistema sanitario marocchino, che è abbastanza modesto, accoglie, almeno per il pronto soccorso, tutte le persone senza fare distinzioni. Noi della Caritas accompagniamo i migranti perché possano usufruire di questo servizio.

 

L’azione della Chiesa è limitata perché la nostra realtà, come ho detto prima, è minuscola. Per i marocchini che vanno in Europa non possiamo fare molto, perché non sono in contatto con noi. Ad ogni modo, noi dobbiamo contribuire a dare speranza ai giovani marocchini perché restino nel loro Paese. Questo lo facciamo attraverso l’educazione: abbiamo dodici scuole materne, primarie e secondarie con più di diecimila allievi marocchini, tutti musulmani. Le scuole sono cattoliche con allievi, genitori e professori musulmani; i direttori degli istituti sono per metà cattolici, per metà musulmani.

 

Attraverso l’educazione possiamo esercitare una discreta influenza, in modo che i giovani conservino la speranza. Il dato di fatto è che i giovani vogliono partire. Penso che sia un fenomeno psicologico, piuttosto che economico o sociologico. Ma cosa può fare il giovane marocchino? E dove può andare? A Est, c’è l’Algeria, la cui frontiera è chiusa da trent’anni, a Sud c’è il deserto, a Ovest c’è l’Oceano Atlantico. Resta il Nord, ossia l’Europa, che è completamente preclusa ai giovani perché questi non possono ottenere facilmente un visto d’ingresso. I miei concittadini spagnoli ignorano questa dinamica: non sanno che gli africani, e in particolar modo i subsaharani, che si trovano in Marocco non possono entrare regolarmente in Europa. Gli spagnoli non hanno idea di cosa sia un visto, perché con il loro passaporto possono arrivare in Marocco e in moltissimi altri Paesi senza problemi. È per questo che si domandano perché i migranti viaggiano su queste barche o, come le chiamiamo noi in Spagna, su queste pateras [barconi]. Non è per piacere, è perché l’Europa attua una politica migratoria egoista, chiusa e meschina. E siccome non riescono a entrare, i migranti sono costretti a compiere gesti azzardati, mettendo a rischio la propria vita. Per questo la Chiesa lavora attraverso l’educazione a favore dei marocchini. Per quelli che arrivano dal Sahel, noi facciamo quello che il Papa ci ha detto di fare: soprattutto accogliere, poi proteggere, promuovere e, se possibile, inserire. Accogliamo le persone attraverso l’ascolto, la comprensione, l’orientamento e un piccolo aiuto per le necessità urgenti. Le proteggiamo dalla malattia, dalla fame, e le aiutiamo a superare i problemi con la burocrazia.

 

Fare formazione alle persone è più difficile, perché richiede molto tempo, perseveranza e continuità. Normalmente i migranti non hanno tempo per questo, perché vogliono partire subito. È difficile organizzare un corso di formazione professionale annuale. Ci limitiamo a preparare attività più brevi e, infine, integrare nel Paese i migranti, anche se le persone solitamente non vogliono restare qui. Tuttavia, il numero delle persone che, di fronte alle difficoltà del viaggio in Europa, scelgono di restare in Marocco sta aumentando.

 

Abbiamo selezionato tre categorie di persone perché non possiamo accogliere tutti. La prima riguarda gli ammalati, la seconda le madri incinte o che hanno già dei figli, la terza i minori non accompagnati o mal accompagnati. Queste sono le tipologie di persone che consideriamo più bisognose. Facciamo quello che possiamo per aiutarle. Non possiamo aiutare tutti perché non abbiamo i mezzi. Cosa potremmo fare per un giovane che gode di buona salute e che vuole andare in Europa? Noi ascoltiamo, accogliamo, ma poi lo lasciamo proseguire per la sua strada. Questo è quello che facciamo attraverso la Caritas marocchina (quella a livello di tutto il Paese), le tre Caritas diocesane (Tangeri, Rabat e la prefettura apostolica di El-Ayoun) e attraverso le Caritas parrocchiali ed altri punti di intervento come le opere sociali delle diverse congregazioni religiose. Per noi l’attenzione ai migranti significa concretizzare una delle dimensioni della nostra Chiesa che vuole essere samaritana, nel senso della parabola del buon samaritano. Una Chiesa che si piega sulle necessità della persona, senza chiedere: perché sei qui? Perché sei venuto? Chi ti ha fatto questo? Se uno è ammalato, noi lo aiutiamo a guarire, se uno è affamato, noi gli diamo da mangiare.

 

La cosa più importante di tutto ciò è l’individuazione delle molteplici cause che sono all’origine delle migrazioni, che non sono un problema ma un fenomeno. Tra queste cause vi sono le guerre, l’ingiustizia e i mercati illeciti, le persecuzioni politiche, religiose. Sono questi i problemi che la classe politica deve risolvere. Noi possiamo denunciare la necessità e la possibilità di una politica differente. È una vergogna che l’Europa adotti soltanto una politica repressiva, di chiusura, quando potrebbe almeno adottarne una moderatamente aperta, in cui enunciare delle condizioni di ingresso. Questo purtroppo non avviene: l’Unione Europea spende molti soldi per impedire l’ingresso ai migranti, ma non ha una politica di accoglienza. Mi riferisco all’aspetto politico, non parlo di persone, comunità e associazioni europee che sono molto attive e che dimostrano di essere molto solidali e accoglienti.

 

Le politiche migratorie dei governi dell’Unione non possono continuare in questo modo. Al tempo della crisi siriana, il governo spagnolo si era impegnato ad accogliere 19.000 persone. Due anni dopo la Spagna aveva accolto appena 2.000 persone; la Chiesa si era resa disponibile ad accogliere 25, 30, 50 mila persone nelle parrocchie, ma il governo non ha autorizzato gli ingressi. Con l’Ucraina, invece, le cose sono andate diversamente. Per questo gli africani dicono che ci sono due pesi e due misure. Questa è la nostra visione: ho raccontato in maniera, per così dire, informale quello che la Chiesa fa in Marocco per queste persone in condizione di mobilità. Concludo ribadendo che la Chiesa stessa ha beneficiato dell’arrivo di queste persone che adesso possono vivere la fede in comunità e animare le nostre celebrazioni e la vita della nostra Chiesa.

 

 

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